La Rocca di Ravaldino, che oggi appare come una realtà autonoma all'interno del panorama cittadino, era orginariamente parte integrante del sistema difensivo della città di Forlì. Contestuale all'ampliamento urbano e allo sviluppo dell'abitato è infatti la posa in opera di nuove cinte difensive, fino a giungere alla costruzione di una quarta cinta muraria, che la tradizione locale attribuisce alla volontà del cardinale Egidio Albornoz.
L'Albornoz conquistò la città nel 1359, deponendo il signore locale Francesco Ordelaffi, e continuò in realtà l'importante opera di forticazione urbana già avviata dallo stesso Ordelaffi. La Descriptio Romandiole del 1371 testimonia una riduzione degli ingressi in città, con possibilità di accesso dalle sole quattro porte principali di Ravaldino, Cotogni, San Pietro e Schiavonia, e cita la rocca di Ravaldino, rivolta verso i monti, e quella di San Pietro, orientata verso la pianura, sancendo il chiaro nesso esistente tra le porte urbane e le rocche ononime e fissando definitivamente i limiti a sud e a nord del perimetro fortificato della città. Se la rocchetta di porta San Pietro ha resistito nelle sue forme medievali fino alla metà del Settecento, la rocca di Ravaldino viene riedificata già nel 1471 per volontà di Pino III Ordelaffi, Signore di Forlì dal 1466 al 1480.
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La rocca trecentesca, poi detta rocca vecchia, si trovava a una decina di metri da quella attuale e di essa restano oggi riconoscibili alcuni resti murari all'interno del giardino pubblico, a poca distanza dal ponte levatoio. Questo edificio, che fu prima trasformato in rivellino a presidio della nuova rocca quattrocentesca, funse poi da ossatura per il palazzo detto del Paradiso costruito da Caterina Sforza nel 1496, quale sua residenza privata e anch'esso oggi perduto.
Durante gli scavi di inizio Novecento compiuti per l'edificazione della torre dell'acquedotto furono rinvenuti alcuni frammenti di mattonelle pavimentali in terracotta invetriata di tipo robbiano, che sono state presumibilmente ricondotte a questo edificio.
Caterina sceglierà di vivere prevalentemente nel complesso della rocca dopo la congiura che costò la vita al marito Girolamo Riario, e a tal fine fece appunto costruire, in un grande spazio di terreno detto paradiso, questo palazzo, ricordato dalle fonti come "magnifico".
La stuttura attuale della Rocca di Ravaldino, comunemente detta “Rocca di Caterina”, si deve al progetto dell’architetto Giorgio Marchesi da Settignano (mastro Giorgio fiorentino), che la concepì secondo i più moderni dettami dell’architettura militare, per resistere all'impeto delle nuove bocche da fuoco. L'edificio, tipico esempio di una rocca di pianura del periodo di transizione, ha una pianta quadrata con torrioni circolari ai quattro angoli, scarpate e beccattelli, ed è dominata da un’imponente torre maestra (mastio), posta al centro della cortina nord-ovest. Dalla cantina fino all'ultimo piano del mastio corre una caratterisca scala a chiocciola, in pietra arenaria e senza perno centrale, con un grosso cordolo che ne sottolinea lo svolgimento. Al primo piano del mastio degna di attenzione è una grande sala voltata, con raffinati peducci in pietra serena e con la grande bocca di un focolare. La rocca presenta, specie nelle torri, camere per bocche da fuoco a varie altezze, con aperture che permettevano un fuoco incrociato, oltre che frontale e sommitale. La rocca veniva costantemente presidiata da un castellano, membro di una delle famiglie nobili fedeli al Signore.
Allo stesso architetto Giorgio Marchesi è riconducibile anche la progettazione della “cittadella”, fortificazione a pianta quadrilatera, realizzata tra il 1481-1483 per alloggiare contingentamenti occasionali di truppe, oggi occupata dagli edifici ottocenteschi sorti per ospitare il carcere cittadino.
Dopo l’assassinio del Signore di Forlì Girolamo Riario, vittima della congiura degli Orsi (1488), la moglie Caterina Sforza si rifugia nella rocca, riuscendo così a resistere agli attacchi della fazione a lei avversa. È sempre lei che nel dicembre 1499 guida l’estrema difesa del fortilizio assediato dal Valentino (Cesare Borgia, figlio di Papa Alessandro VI), giunto a Forlì per attuare il suo disegno politico di conquista della Romagna.
Con la sconfitta di Caterina (gennaio 1500) e il passaggio di Forlì al diretto dominio pontificio, la rocca, già fortemente compromessa, viene spogliata dei suoi arrredi originari e assume, assieme all'attigua cittadella, una funzione esclusivamente carceraria. A testimonianza di questo periodo storico, sono oggi visibili scritte e disegni, tracciati a carboncino o incisi dai detenuti che erano carcerati nei medesimi ambienti. Nel 1934 la rocca viene ceduta gratuitamente dal Demanio al Comune di Forlì, che ne avvia così il recupero con un progetto di restauro a firma del Soprintendente alle Antichità e Belle Arti Corrado Capezzuoli, in collaborazione con Gustavo Giovannoni. I lavori, concepiti secondo la teoria del "restauro stilistico", non furono completamente realizzati a causa dell'avvio del secondo conflitto mondiale; solo negli anni Sessanta gli interventi furono portati a termine secondo però nuove concezioni più attente al recupero e alla conservazione del dato storico.
Dopo un decennio di chiusura al pubblico e al termine di nuovi interventi di recupero architettonico, rifunzionalizzazione degli impianti e restauro conservativo, la rocca è stata restituita alla città e riaperta a cittadini e turisti ad aprile 2024.
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